Ivo Janez Gregorc – Deposizione nell’inchiesta diocesana

Ivo Janez Gregorc – Deposizione nell’inchiesta diocesana

Tra le testimonianza raccolte durante l’inchiesta diocesana di Trieste per la causa di beatificazione del Servo di Dio Placido Cortese, quella di Ivo Gregorc (Lubiana 1925 – Ginevra 2014), rappresentante della Croce Rossa Slovena durante la guerra, è di straordinario interesse, perché egli fu tra i pochi, anzi pochissimi, che poterono vedere Padre Placido, stremato dalle torture, nella tristemente famosa sede della Gestapo, in piazza Oberdan a Trieste. Ivo Gregorc ha raccolto le ultime parole di Padre Placido che conosciamo: “Prega e taci”. Preziose anche le confidenze a lui fatte dal pittore Anton Zoran Mušič.

Ivo Janez Gregorc

Ivo Janez Gregorc (1925-2014)

Io mi trovavo a Venezia come rappresentante della Croce Rossa Slovena e avendo dato la possibilità di collocare una radiotrasmittente di Golec (che collaborava con gli alleati ed era amico di Mušič [si tratta del noto pittore sloveno Anton Zoran Mušič], che era mio collega e col quale feci il campo di concentramento a Dachau) ero a contatto con tutto il movimento che aiutava a mettere in salvo le persone ricercate dai tedeschi.

Nel maggio del 1944 mi chiesero di andare a Padova come autista da un certo padre Cortese, che io non conoscevo, presso la Basilica del Santo, perché mi dissero che egli soccorreva quegli avieri che si paracadutavano e si salvavano dall’abbattimento dei loro velivoli e che erano ricercati dai tedeschi. Mi recai da Venezia a Padova con l’automobile della Croce Rossa accompagnato da Werdnik Fritz (colui che era senza braccio, che poi venne riconosciuto come uno dei due che tradirono padre Cortese nel giorno dell’arresto), Bricelj Ivo, il radiotelegrafista e il dott. Bolé. Ci recammo nel convento del Santo, io fui presentato al padre Placido, ci scambiammo qualche parola di cortesia e lasciai i tre che parlassero con padre Placido.

Da quel giorno dell’incontro presso la Basilica del Santo, non ebbi più modo di avere contatto con padre Placido, io continuai la mia attività, fui arrestato, mi deportarono a Trieste presso le carceri del Coroneo. Fu nell’ottobre del 1944 che, preso dalle carceri del Coroneo e portato presso la sede del Comando delle SS in piazza Oberdan, venni lasciato nell’anticamera di colui che doveva interrogarci, e che era probabilmente l’autore del nostro arresto, il sottufficiale Zimmer (che allora poteva avere circa 40 anni) e che noi tutti temevamo.

Lì, in quell’anticamera dopo qualche tempo, eravamo nel pomeriggio, vennero due tedeschi in uniforme che letteralmente gettarono nell’anti camera un religioso con la veste dei conventuali. Io lo osservai e avendolo visto a Padova, piccolo, claudicante, che si teneva un po’ storto e grazie anche alla veste, lo riconobbi in padre Placido. Lui si sedette sulla panca accanto a me, rimasi sconcertato nel vedere le sue mani che teneva congiunte e che mostravano segni evidenti di tortura. Le dita sembravano spezzate, storte, non rispondenti più a movimenti ordinati, ma egli continuava a tenerle congiunte quelle mani in atteggiamento di preghiera. Mi feci coraggio, gli domandai: “Padre, lei mi conosce?”. Lui mi rispose dicendo il mio nome: “Sì, Ivo”. Poi con sofferenza mi disse: “Non parlare! E prega Dio”. E la nostra conversazione si concluse. Subito dopo vennero a prelevarmi e io poi non lo rividi più. L’immagine di queste mani, mi seguono tutta la vita. Oggi io sono anziano, ma non posso dimenticare quelle mani [nota del Tribunale: il teste si commuove]. Di fronte allo stato in cui vidi padre Cortese, io subito pensai che non avrebbe sopportato altre torture e tanto più trasferimenti. Non lo avrebbero certo potuto utilizzare, da come avevano ridotto le mani del padre e la sua persona, in nessun’altra attività di lavoro forzato. Quindi escludo per questo il fatto che padre Cortese sia stato portato in altro campo. Era ormai letteralmente alla fine. Circa le torture, i maltrattamenti inferti a padre Placido ne ho avuto conferma da Mušič.

Nel mese di novembre fummo prelevati dal Coroneo e trasferiti a Dachau. Io mi trovai sul vagone con Mušič e poi fummo anche insieme nella stessa baracca a Dachau. Ma già durante il viaggio parlai con Mušič di padre Cortese. Il Mušič infatti era stato nelle celle di isolamento presso la sede del Comando delle SS di piazza Oberdan. Proprio nel box accanto o di fronte dove avevano messo padre Cortese. Io chiesi a Mušič: “Ma tu hai visto le mani di padre Placido?”. “Certo, gli hanno rotto tutte le dita, perché non parlava, lo hanno bastonato giorno e notte, quando poi si era soli, attraverso l’unico foro che vi era nei nostri box, potevo sentire i suoi lamenti, le sue preghiere. Pensa, mi disse, che era talmente frequente la sua preghiera ad alta voce anche di notte che, essendo io accanto, non mi rendeva facile il sonno, ma quella sua preghiera era un conforto anche per me”.

Ivo Gregorc