Nella Basilica del Santo

Nella Basilica del Santo

Suggestiva è la descrizione della Basilica che custodisce la Tomba del Santo di Padova, meta di innumerevoli pellegrini e visitatori, che troviamo nella pubblicazione-omaggio ai benefattori e agli associati al Messaggero di S. Antonio, data alle stampe alla fine del 1943: «Nella Basilica del Santo», con la quale il direttore Padre Placido Cortese si congeda dai suoi lettori e dai devoti del Santo, avendo lasciato da poco il suo incarico. Tuttavia anche nel del corso dei mesi seguenti, la rivista ospiterà altri suoi articoli. La pubblicazione aveva raggiunto la trentaseiesima edizione: un numero fatidico, a ben pensarci, che ricorda gli anni vissuti su questa terra da Antonio di Padova, ma anche l’età raggiunta in quell’anno da Padre Placido, che l’anno seguente, il 1944, avrebbe concluso anch’egli la sua esistenza. L’autore del testo è un collaboratore di Padre Cortese, che si firma «patavinus». Scrive Padre Placido nella presentazione:

Trentasei anni sono qualcosa nella vita di un uomo e tanto più in quella d’una pubblicazione che viene a salutare un anno che muore e a pronosticare su quello che nasce. La compilazione di essa non è cosa delle più facili perché ci sono tante cose che si possono mettere e moltissime che non si mettono. Certo è che ogni anno ho incontrato il favore e le simpatie dei devoti del Santo che l’hanno trovata dilettevole e interessante.

Si vuole vedere e conoscere la Basilica del Santo. In questa pubblicazione avete la visione della meravigliosa Basilica che ha tante bellezze, che è centro di intensa vita spirituale e di pietà eucaristica. Pare che il Santo viva e sia presente in mezzo all’umanità sofferente con il richiamo all’amore dei beni eterni, che soli appagano l’anima, e alla pratica della legge divina che sola dona agli spiriti la pace.

Nella Basilica del Santo

Il devoto che visiti qualche santuario, sebbene la maggior parte di questi siano famosi per valore architettonico o per le opere d’arte racchiuse, non indugia né si distrae nella contemplazione estetica, s’affretta al conseguimento dello scopo religioso che l’ha mosso. Così chi entra nella Basilica del Santo v dritto alla cappella dell’Arca. Si confonde alle turbe che rinnovandosi incessantemente si prostrano dinanzi all’altare e quindi procurano di giungere a toccar con la mano, o magari con la fronte, il marmo verde che copre la tomba benedetta. Negli occhi di tutti trema la fiducia commossa che la potente intercessione del Santo riesca a sanare le afflizioni dello spirito o i mali del corpo, oppure brilla la riconoscenza per le grazie già ottenute.

Non diversamente io faccio tutte le volte che ritorno alla mia vecchia città, ma poi passo altre ore e ore entro la Basilica o ni chiostri o presso di essa. Non è soltanto la contemplazione che mi trattiene, ma la folla dei ricordi di tempi lontani: quelli della fanciullezza e dell’adolescenza.

Rivedo il fanciulletto tutto ammirato e commosso assistere alle sacre cerimonie, che allora non meno di adesso si svolgevano col rito più solenne. Da tutta la grande cantoria, che è ai lati del presbiterio e s’allunga a cingere il coro, riodo le voci dei cantori, i suoni degli strumenti musicali, fusi in mirabile armonia., correre di arco in arco, diffondersi per le navate, salire alle cupole aeree e discenderne, quasi visibili come le volute degli incensi. Talora invece sono le folle concordi che innalzano preci e inni, accompagnate dalla voce possente dei quattro grandi organi fastosi, che si appoggiavano ai quattro pilastri del presbiterio.

Il faciulletto che in quegli anni così remoti assisteva commosso di devozione e di stupore a queste feste solenni, in cui i marmi, i bronzi, gli argenti parevano raddoppiare di lucentezza per le molte faci [luci], rivedo, fatto adolescente, venire qui quasi ogni giorno, presto al mattino prima della scuola, quando l’interno della Basilica era ancora in una oscurità misteriosa, che rendevano più evidente la cappella del Santo tutta illuminata e le piccole tremule luci delle candele tenute sui banchi, per leggere le loro preghiere, dai devoti sparsi nell’ampiezza delle navate. Il raccoglimento di quelle prime ore del mattino, con pochi fedeli oranti e nessun visitatore profano, mi era tanto caro e parlava al mio spirito non meno delle grandi feste con le grandi folle e la solennità dei riti.

Poi sono venuti gli anni in cui le vicende della vita, non sempre liete, mi hanno chiamato e trattenuto lontano: ne passarono parecchi senza che potessi soddisfare il desiderio nostalgico di tornare alla città natale e alla toma del suo Santo. Quando finalmente mi fu concesso di rivedere i luoghi così cari per tante memorie, se ritrovai immutato l’esterno della Basilica, invece l’interno m’apparve ben diverso. Così, in questi ultimi anni in cui periodicamente posso dedicare qualche settimana alla mia vecchia città, entro la Basilica la mente è volta soprattutto al confronto tra le antiche impressioni e le nuove determinate, oltre che da ragioni soggettive, anche da molte oggettive, essendo mutato l’aspetto interno per molti restauri e per la nuova decorazione ormai estesa a metà del tempio.

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Madonna con Bambino, detta “degli orbi o del pilastro

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Madonna con Bambino, detta “degli orbi o del pilastro

Dopo d’avere goduto del sorriso della Madonna degli orbi [così chiamata, specialmente in passato, la bella immagine mariana che accoglie i pellegrini all’ingresso della basilica], che mi guarda con la dolcezza dei suoi grandi occhi dall’altare del primo pilastro a sinistra, se mi pongo nel mezzo della navata maggiore, dinanzi la porta centrale, mi colpisce subito il contrasto tra la parte decorata tutta colori vivi, ori lucenti, ricchi ornati con la semplicità quasi nuda dell’altra parte. Di qui si può avere l’impressione dell’ampiezza della chiesa, specie nel senso della lunghezza. Oltre il presbiterio, oltre la mezza oscurità del coro, s’intravvede lontano nella luce chiara della cappella del Tesoro, il Santo entro il grande serto di angeli e gigli.

Viste dall’interno, più ancora che dall’esterno, le cupole sembrano veramente aeree: quella sopra il presbiterio con le sue finestre cieche pare che si perda nella profondità del cielo. In poche chiese come in questa tanti stili si fondono insieme o per lo meno non urtano, non stridono. I grandi archi pieni della navata centrale s’accompagnano con quelli acuti che la dividono dalle due laterali e reggono le gallerie pensili: le finestre a tutto sesto s’alternano con le trilobate, con le tonde, con i rosoni; motivi bizantini, arabi, romanici, gotici, lombardi armonizzano: perfino il barocco si acquieta in una funzione puramente decorativa. Ogni età, per sette secoli, ha lasciato la sua impronta, contribuendo al decoro e al fasto di questo tempio che riassume la vita religiosa di Padova.

Padova – Basilica di Sant’Antonio - Interno

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Interno

Il freddo osservatore può sì notare qua e là qualche deficienza di unità, ma nessuno può sottrarsi all’ammirazione spontanea per l’impronta originale dell’insieme e per l’incanto delle singole parti.

Ecco la cappella della Madonna Mora, il venerando avanzo dell’antica Santa Maria Mater Domini, così raccolta e devota per la tenuità della luce, per l’antico altare a tabernacolo con la statua della Vergine entro cancelli, per le tombe, i numerosi voti appesi intorno, i frammenti d’affreschi.

Ecco la vicina cappella gotica dei Conti e del B. Luca Belludi, tutta luminosa, sebbene interamente dipinta, con il bianco altare, che si può dire perfetto nella sua semplicità, con gli affreschi del Menabuoi alle pareti, spesso veri documenti per la storia di Padova e della Basilica.

Ma il più prezioso gioiello dell’arte gotica è la cappella di S. Felice [oggi chiamata di S. Giacomo]: armonia insuperabile di linee e di colori, dove non si sa se ammirare più l’esterno o l’interno, dove gli affreschi dell’Avanzi e dell’Altichieri, specie nel trittico della Crocifissione, si impongono per l’evidenza della scena, il movimento delle figure, la vivezza delle tinte.

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Cappella dell’Arca, Sec. XVI

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Cappella dell’Arca, Sec. XVI

Lo spirito classico del Rinascimento si rivela nella cappella dell’Arca, la gemma più fulgida della Basilica, alla quale lavorò tutto il secolo decimosesto, escludendo ogni elemento di età precedenti, e a cui portarono notevoli contributi anche i secoli successivi. Preziosa per materia e per arte è tutta marmi, argenti, bronzi, ma la sua ricchezza e il suo splendore non turbano la devozione. Il tempo ormai ha attenuato la bianchezza primitiva dei marmi, la lucentezza degli argenti e delle dorature, togliendo ogni contrasto con la tinta scura dei bronzi. La luce alquanto moderata, le fiammelle dei molti ceri accesi e delle molte lampade, i voti senza numero che s’accumulano intorno l’altare, il fervore dei supplicanti, che si alternano senza sosta nell’assistere ai sacri riti e nella venerazione dell’Arca, tutto contribuisce a fare di questa cappella uno dei santuari più devoti.

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Cappella dell’Arca

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Cappella dell’Arca – Il Santo risuscita un giovane, D.Cattaneo e G. Campagna, Sec. XVI

Se di qui si passa alla cappella del Tesoro, aggiunta alla Basilica nel seicento, tutta luminosa, dove nella parte superiore una folla di angeli sonando e cantando celebrano la gloria del Santo portato su nubi entro un gran serto di gigli, e dove nella parte inferiore, tra marmi di vari colori e bronzi e argenti, s’incurvano tre nicchie, simili a grandioso altare; il barocco sembra ben appropriato a celebrare il tripudio d’una festa paradisiaca, come la ricchezza, il fasto ben convengono s contenere il tesoro di tanti reliquari.

Quando invece ci si fermi nelle cappelle raggianti del peribolo, restaurate tra la fine dell’ottocento e il principio del novecento, chiudendole con ricche cancellate, rinnovando gli altari, sostituendo alle due finestre laterali una sola nel mezzo di ognuna, decorando le pareti con affreschi, ci troviamo in presenza di notevoli opere della pittura che allora si diceva moderna. Si vedano soprattutto le due cappelle Germanica o di S. Bonifacio, affrescata da M. Feuerstein, e quella di S. Stefano con gli ultimi capolavori di L. Seitz. Le scene rappresentate con ricchezza di fantasia, con impeccabile disegno, con vivacità di colore sono esempi mirabili di arte religiosa, eppure sembrano ai nostri giorni di indirizzo e di gusto già oltrepassati. Per convincersene basta entrare nella cappella di S. Francesco dove Ubaldo Oppi nel 1930-21 illustrava con 12 storie la vita del Poverello. Nell’opera sua il pittore ha saputo conciliare esigenze dell’arte moderna col rispetto al sentimento religioso e alla verità, senza deformare figure così da renderle ingenue espressioni o indovinelli, come troppo spesso ci capita di vedere.

Cappella_Santissimo

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Cappella del SS. Sacramento, progettata e ornata da Lodovico Pogliaghi e inaugurata nel 1936

Ultima a essere rinnovata fu la cappella del Santissimo, il cui restauri si deve alla genialità e alla cura vigile laboriosa di L. Pogliaghi, che si ispirò al concetto del trionfo dell’Eucarestia. Non si può negare che per ricchezza di bronzi e di marmi e di mosaici, per fasto di decorazione questa cappella gareggi con le altre e alcune ne superi, eppure se tutti sono concordi nella lode di particolari squisiti per invenzione e per fattura, alcuni credono che troppo siasi curato l’effetto scenografico. Le opere come questa, che richiedono troppi anni di lavoro, quando sono compiute trovano tendenze diverse da quando furono concepite e cominciate, così che appena finite già sembrano d’altri tempi.

In questi rapidi accenni alle cappelle della Basilica non si è parlato deliberatamente del presbiterio e del coro, cioè delle parti più nobili d’ogni tempio, e ciò perché sono dovute al lavoro continuo, spesso tormentoso di più generazioni. Prima di giungere allo stato attuale quale travaglio di innovazioni intese o a riparare i danni subiti nel corso del tempo (gravissimi quelli dell’incendio del 1749) o a conseguire forme più perfette.

Vi sono ancora quelli che ricordano l’altarone sopra la cantoria all’estrema curva del coro, gli organi pesanti di sculture dorate ai quattro pilastri, il baldacchino enorme che pendeva dall’alto. Il presbiterio e il coro, liberati da queste opere più goffe che sontuose, sono visibili nella loro ampiezza. Gli archi del peribolo così alti che danno l’impressione d’una ascesa, le pareti laterali del presbiterio interne a marmi colorati bianchi e rossi, con le formelle di bronzo del Bellano e del Briosco e quelle esterne che continuano nell’ambulacro cingendo il coro e sostenendo la cantoria dai parapetti a ricchi e vari trafori; l’altare rinnovato dal Boito, riunendo gli sparsi capolavori donatelliani; l’insuperato candelabro del Briosco, la balaustra marmorea con le statue dell’Aspetti e le portelle ornatissime di bronzo massiccio, tutto contribuisce a formare un insieme d’una grandiosità e d’una magnificenza piuttosto uniche che rare. Solo si rimpiangono nel coro le sculture e le tarsie degli stalli che l’incendio distrusse.

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Veduta d’insieme del Presbiterio

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Veduta d’insieme del Presbiterio

Il solito erudito e il solito critico trovano da ridire anche qui. Per cominciare dall’altare maggiore già si osservò che l’opera del Boito si allontana dal concetto primitivo del Donatello. Forse ciò è vero, ma una semplice fedele ricostruzione, dato che fosse possibile, giovava in un ambiente tanto diverso dall’antico?

L’altare del Boito è di proporzioni giuste, né macchinoso né piccolo; ben si adatta allo spazio tra il candelabro del Briosco e i due archi della cantoria che da ambo i lati si restringe nel coro. La policromia dei marmi dei mosaici non contrasta con i bronzi scuri ma lucidi del Cristo, delle statue sopra l’altare e delle formelle sul gradino e sul paliotto, offrendo il vantaggio di riunire i capolavori già sparsi in più luoghi della Basilica, alcuni confinati perfino su l’altarone. Il disegno e la fattura accuratissimi ne fanno un’opera degna del luogo e del valore artistico dei bronzi raccolti.

I critici non risparmiano nemmeno la nuova decorazione pittorica. Quasi mezzo secolo è occorso per la parte finora compiuta: nessuna meraviglia, come fu detto per altre opere, che dopo tanti anni il criterio il quale all’inizio si presentava consono ai tempi, si presenti ora sotto altra luce. Così anche in questa taluno riconosce che la decorazione è lodevole nei particolari, invece la giudica esuberante, magari eccessiva nel suo complesso, come quella che non consente la piena nitida visione delle linee architettoniche. La professione del critico è più facile di quella del pittore, e troppo spesso s’indulge al gusto dell’ora che passa.

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Altare maggiore

Padova – Basilica di Sant’Antonio – Altare maggiore progettato da Camillo Boito (1895) con i bronzi di Donatello (Sec. XV)

Eppure non si può negare la grandiosità del tema decorativo di tutta la Basilica: la glorificazione di S. Antonio. gli affreschi dell’ambulacro con gli avvenimenti padovani del 13-14 giugno e i funerali del martedì 17 sono scene drammatiche, potenti, dove l’osservatore spassionato non sa se ammirare più la ricostruzione storica, interpretata con animo di poeta, o il disegno sicuro e la sapiente armonia delle tinte. Peccato che la scarsa luce per più ore tolga il pieno godimento della contemplazione.

Non è il caso di illustrare qui il resto della decorazione con tutte le figure sui pilastri del peribolo, su le nicchie alte dell’abside, su la volta della cupola, su le pareti della crociera, queste ultime recentissime, scoperte nel 1940 e nel 1941. Vi sono figure grandiose, solenni, altre dolci, soavi: simboli, cartigli, ornati architettonici con un’arte squisita, con una fantasia inesauribile, con una freschezza che non sono venute mai a mancare, neppure nel volgere degli anni. Ricordo una mia recente visita alla Basilica una sera prima del tramonto. Dal grande rosone della facciata e dalle bifore entrava il sole: fu come si fosse acceso un faro luminoso. L’altare del Boito spiccava nel mezzo del presbiterio; la decorazione in fondo, in alto, ai lati appariva nella magnificenza delle sue figure e dei suoi colori; tutto, perfino i marmi, i bronzi parevano palpitare al caldo raggio. Una festa per gli occhi e per lo spirito della quale non avrei potuto immaginare una più bella: mancava solo il canto. In quel momento avrei voluto che si levassero le note solenni del Te Deum: un ringraziamento a Dio che ci ha elargito il valido patrocinio dei suoi santi e ha suscitato tra gli uomini artisti che glorificandoli ci hanno ricreato e continuano a ricrearci con la bellezza imperitura delle loro opere.

patavinus